Equo e solidale in Italia: lo stato dell'arte
Caffè di varie miscele, zucchero di canna integrale, miele, numerosi prodotti trasformati - dal muesli ai biscotti - e poi orzo, cous-cous, riso (thay, rosso o basmati), succhi di frutta bio, ma anche cosmetici, abiti, bruciatori per incenso, carta da regalo, bomboniere: ecco alcuni fra i prodotti - tutti a marchio CE, grazie alla elevata qualità delle materie prime - maggiormente commercializzati dal commercio equo e solidale. Questa espressione - resa dell'inglese 'fair trade' - designa una realtà in crescita, che combatte il lavoro minorile e lo sfruttamento selvaggio delle risorse del pianeta, e che, parallelamente, promuove la cooperazione, l'accesso al mercato dei soggetti svantaggiati, politiche di contenimento dei prezzi, la tutela del lavoratore come del consumatore...
Nel 2006, a Strasburgo, viene approvata la Risoluzione del Parlamento europeo sul commercio equo e solidale e lo sviluppo, che attribuisce al fair trade un ruolo di primaria importanza nel processo di crescita economica del sud del mondo, invitando la Commissione europea a promuoverlo attuando iniziative dirette a cittadini ed aziende. Nell'ambito di questa cornice è inserita la nostra nazione, che procede nel solco comunitario e secondo le linee previste dalla Carta Italiana dei criteri del Commercio Equo e Solidale. Dal punto di vista della legislazione, oltre alle mozioni Fioroni e Iovene - approvate, rispettivamente, nel 2002 e nel 2003 - le quali individuano nel fair trade una grande opportunità di miglioramento sociale, sono stati promulgati, con identità di intenti, anche leggi regionali e regolamenti comunali.
Se dal punto di vista legislativo Unione europea ed Italia procedono di pari passo, presentano però delle differenze per quanto riguarda gli effettivi trend del fair trade: nell'Unione, ad esempio, l'equo e solidale ha registrato negli ultimi anni una decisa crescita del fatturato ed è arrivato a contare circa 80.000 punti vendita sparsi sul territorio, soprattutto supermercati, negozi bio ed erboristerie; in Italia, invece, la spesa media procapite nell'equo e solidale risulta essere tra le più basse del continente. La nostra nazione, inoltre, presenta anche sostanziali differenze regionali e locali, trovando nella zona settentrionale lo zoccolo duro di questo mercato.
Altra specificità italiana, poi, è rappresentata dal ruolo di primissimo piano assunto dalle 'botteghe del mondo': questi punti vendita al dettaglio rappresentano invece, all'interno dell'Unione, un soggetto assolutamente marginale rispetto alla grande distribuzione. 600 le unità territoriali per le botteghe made in Italy, le quali, però, risentono del sottodimensionamento culturale e percettivo dei consumatori, spesso dubbiosi sulla effettiva qualità dei prodotti commercializzati, che provoca inevitabili ripercussioni sui guadagni.
Per incrementare, dunque, le vendite dei prodotti delle botteghe - non soltanto dell'equo e solidale, ma anche no-profit ed eco-compatibili - l'Italia ha bisogno di promuovere ed impiantare la cultura del commercio equo e solidale, fornendo informazioni trasparenti sulla merce, formando adeguatamente e con aggiornamento costante il personale, valorizzando il ruolo dei volontari, alimentando, attraverso viaggi ed occasioni di confronto, il flusso comunicativo tra le botteghe di tutto il mondo, coinvolgendo università e ricerca in progetti e sperimentazioni.
Le statistiche non registrano ancora risultati ottimali, ma probabilmente li registreranno in futuro: questo grazie alle capillari e diversificate iniziative che, nella nostra nazione, stanno facendo conoscere ai cittadini l'equo e solidale - eventi dedicati, campagne di sensibilizzazione, festival cinematografici e convegni schiudono l'anima di questo mondo sostenibile. Che guadagna sempre maggiore spazio anche sugli scaffali della grande distribuzione.
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